venerdì 22 marzo 2013

ManifestoLab_2.0 _1: GLI ANNI IN TASCA




In un collegio della provincia francese, un gruppetto di ragazzini dal carattere difficile corrono incontro alla vita ed alle prime scoperte della sessualità, sotto lo sguardo distaccato ed indifferente degli adulti, che si rivelano troppo distratti dal loro ruolo di genitori ed educatori. 


“Non mi stanco mai di girare con i bambini. Tutto quello che un bambino fa sul set sembra farlo per la prima volta, ed è questo che rende così preziosa la pellicola che riprende i giovani volti in trasformazione”: con “Gli anni in tasca” François Truffaut ritorna nel mondo fanciullesco per raccontare dodici short story in cui si mescolano fantasticherie, problemi con gli adulti, drammi e primi amori di un gruppo di bambini del modesto paesino di Thiers, in Alsazia. La macchina da presa si sofferma in particolare su due personaggi: uno è il piccolo Julien (una sorta di Antoine Doinel de “I quattrocento colpi” e Victor de “Il ragazzo selvaggio”), che vive un’infanzia infelice poiché picchiato dalla madre e dalla nonna; l’altro è Patrick, inizialmente innamorato della mamma di un suo amico e poi della cugina di un suo compagno di scuola. 





“Gli anni in tasca” si presenta come un ritratto caleidoscopico dell’infanzia, poggiandosi molto sull’improvvisazione e sull’aneddoto più che su una sceneggiatura rigorosa. Proprio come in “Effetto notte” si mettono in scena storie incrociate di diversi personaggi, mentre la colonna sonora continua il ciclo dedicato a Maurice Jaubert (insieme a “La camera verde”, “Adele H., una storia d’amore” e “L’uomo che amava le donne”), in cui vengono appunto inseriti brani del compositore scomparso nel 1940, rievocando una sorta di omaggio a Jean Vigo. Un film corale dedicato ai bambini, all’infanzia, ma soprattutto alle responsabilità degli adulti nei confronti dei bambini (“Un giorno anche voi avrete dei figli […] che vi ameranno se li amerete, ma che se non amerete riverseranno il loro amore o il loro affetto, la loro tenerezza su altra gente, su qualcos’altro, perché la vita è fatta così: non si può fare a meno di amare e di essere amati”).



Autobiografico (entrambi, Julien e il maestro Richet, ricordano sia la personalità giovanile che quella matura del cineasta francese) e dolcemente malinconico come numerose pellicole del regista, “Gli anni in tasca” ribadisce ancora una volta la posizione di Truffaut nei confronti dei bambini, che ogni giorno combattono una lotta impari contro gli adulti. Una piccola curiosità: le sue figlie Laura ed Eva (oltre che lo stesso Truffaut) compaiono in piccoli camei. 


Ho fame! 


Discorso finale del maestro
 



L’argent de poche: il commento di Sandra Piatti qui.




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