giovedì 26 dicembre 2013

ManifestoLab_2.0_3: Un sostegno per i momenti difficili


Come ogni anno le segnalazioni sulla mancanza di coperture di sostegno arrivano a ChiedoAsilo ed agli organi di rappresentanza delle famiglie. Non è difficile scandalizzarsi per queste situazioni, è facile pensare che bambini con esigenze particolari debbano essere aiutati, accolti. E' un bisogno per chi si trova protagonista di una esperienza simile, è una garanzia per chi ne è solo spettatore (e non protagonista, per puro caso).

A Settembre è apparsa la notizia che diversi bambini erano stati ritirati da una classe prima elementare a causa della presenza di un bambino autistico.

Qualche settimana fà la denuncia di quanto avviene in Grecia, dove i casi di disabilità sono , per altro in contrasto con le Direttive Europee, ancora relegati in “scuole speciali”. 


Augurandoci che le autorità competenti non si trovino in una condizione di dover abbassare lo sguardo alla richieste delle famiglie, ci affidiamo alle parole di una mamma, direttrice di progetto per una Onlus impegnata nel settore del sostegno, per rimettere al centro della discussione il vero senso del sostegno. Qui di seguito una chiaccherata, libera, sul tema del sostegno nei servizi e nelle scuole.

Il fenomeno dell'isolamento

D: Quando ci siamo incontrate, abbiamo parlato della necessità di contestualizzare la problematica al contesto milanese, quello di una grande città. Secondo te a Milano è più facile trovare queste situazioni di disagio, che rischiano di sfuggire al controllo? Forse in ambienti più piccoli.. 

R: In questa città io mi occupo per lavoro di sostegno a famiglie con fattori di fragilità e di rischio, lavoro in un ambito relativo al rischio di, ad esempio, maltrattamento, ma anche di rischi minori, visto che mi occupo di prevenzione. Milano è un contesto sociale abbastanza degradato dal punto di vista delle relazioni . Il fenomeno dell'isolamento è un fenomeno importante. Quando nasce un bambino a Milano, la mamma da una parte, i parenti in altra zona lontana e già viene a mancare quel minimo supporto familiare, ancora più importante se qualcuno non sta bene, ma anche nella normalità. Poi vi sono tanti stranieri, bambini , che nella scuola e nel tempo che trascorrono all'interno della famiglia, rimangono spesso isolati. Io mi occupo di sostegno alla genitorialità, per mirare al benessere del bambino.

Il sostegno del bambino si trova a scuola, per far vivere meglio il bambino a scuola, ma aiuta a far vivere meglio la famiglia in generale. La Francia si concentra moltissimo sul benessere della famiglia. Quando ci sono bimbi piccoli, ad esempio, tutto è costruito introno al nucleo familiare. Come il concetto della prossimità degli asili, i famosi 200 passi, li sono reali. Da noi non succede. Il sostegno sarebbe anche vedere riunificata la fratria in una zona comoda per i genitori. Spesso il rispetto degli orari senza la contiguità impone il modello “pacchetto postale”: ovvero di corsa a scuola, infilare le ciabattine, svestirli, bacino e poi ognun per se e Dio per tutti.

Per i bambini fino ad una certa età è fondamentale poter avere quel briciolo di calma. Noi assistiamo già normalmente ad un fenomeno di scarsa flessibilità, dove il sistema prevale e le persone un po' scompaiono.

Anche a scuola si fa fatica a capire come funziona la relazione del bambino con l'ambiente che lo circonda. Gli insegnanti non hanno tempo per relazionarsi (oltre le necessità didattiche) e le situazioni di isolamento possono sfuggire. Se poi stiamo parlando di una situazione familiare con disagi fisici o psichici a maggior ragione si tende a rinchiudersi nell'isolamento della propria casa. Quindi il bambino rimane ancora più isolato perchè impara quel modello, e potenzialmente lo riprodurrà da grande. I bambini non sanno come si vive, se vivono quello modello (l'isolamento) quando nascono, quello si portano avanti. Crescendo un confronto con gli altri è inevitabile verso i 7-8 anni, e spesso a quel punto i bambini si trovano impreparati a questo incontro e non riescono ad apprezzare l'esperienza, perchè rimangono a lungo dipendenti dagli stessi genitori. Quindi si arriva a 11-12 anni, possono iniziare anche i momenti di constestazione, legittimi, delle regole familiari, però ormai il bambino è cresciuto immerso nel modello familiare di isolamento per una parte di vita lunga, soprattutto considerando che è la porzione di vita dove il bambino impara di più , sente di più , è più disponibile ad essere flessibile, ad avvicinarsi al mondo, a scoprire, ad interiorizzare. Questo modello rischia quindi di perpetrarsi.

Il coordinamento dei servizi di sostegno nel percorso di vita familiare

D: Per come conosci tu il sistema, non sarebbe bello se ci fosse un approccio al sostegno, o qualcosa di piu utile, che ha come obiettivo l'integrazione dall'isolamento sia per motivi etnici , sia legato una condizione di disagio psicofisico (come ad esempio i sintomi di autismo) che non sia limitato ad un sostegno specifico sul servizio o sulla scuola, ma rientrasse in un sistema di coordinamento generale , che segue la famiglia? Il sostegno segue la famiglia: se questa utilizza un servizio, ritrova all'interno di quello specifico servizio una persona, che continua il progetto di integrazione che il bambino sta portando avanti con la famiglia. Ma quanto siamo lontani da questa cosa? 

R: C'è una grossa spaccatura quando si parla di sostegno sociosanitario ed educativo e sociale, significa interfacciarsi con comune o regione/asl. E' auspicabile che questi due sistemi riescano ad integrarsi in un unico sistema (non solo a livello di pratiche e documenti). Non c'è ancora una comprensione vera ma, sarebbe cosa buona e giusta che questi due enti ragionassero insieme. Intanto si stanno correlando le tipologie di sostegno, vediamo come andrà avanti, i fondi sono quello che sono. Insomma il nostro sistema di base sta cercando di portare avanti delle strategie e questo mi sembra interessante.
Con questi stessi enti si riesce a ragionare, se ci si mette in gruppo, si fa rete, prima dell'estate sono successe delle belle cose con il comune. Ma si assiste anche a momenti di panico perchè subentrano tagli, senza ragionare dove si taglia.

D: Ti riferisci all'apertura di sportelli di supporto presso alcuni servizi all'infanzia, con un assistente sociale disponibile su segnalazione delle educatrici o su richiesta delle famiglie?

R: Si ad esempio, questo è un progetto sperimentale, non di vero e proprio sostegno ma quasi piu di promozione al benessere sociale. La prevenzione deve lavorare in questa fase, prima che esploda in disagio. Alcuni chiedono aiuto, è importante che ci sia qualcuno pronto a cogliere l'attimo, prima che la situazione esploda. C'è sempre la soggezione dell'assistente sociale (è quello che ti porta via i bambini), mentre l'assistente sociale è quella persona che puo' aiutare ed orientare le famiglie su tanti temi (dall'esistenza dei bonus ad esempio). Molti assistenti sociali si fanno in quattro per aiutare queste famiglie, ben oltre i compiti assegnati. 

Le competenze per il sostegno

D: Visto l'ampio spettro delle possibili condizioni che necessitano il sostegno c'è una relazione tra la tipologia del caso specifico e le risorse/la figura che viene messa a sostegno? C'è una condizione per cui, prese le caratteristiche del bambino, si trova un'insegnante di sostegno che ha competenze specifiche per quel tipo di disagio o la formazione è “omologata”?

R: Per quello che vedo e sento, esistono dei casi “illuminati” dove le presidi scelgono delle cooperative con educatori esperti. Ho visto anche assegnazioni fatte per necessità organizzative, senza avere ne competenze ne passione. A volte avere anche solo la passione e il desiderio di entrare in comunicazione con quel bambino, è molto importante. Frequentando un bambino anche disabile, vedi nel tempo, acquistando la sua fiducia, come egli sa comunicare, chiarire, farsi capire. Se hai voglia, allora sarai capace di comunicare con il bambino e con la famiglia che ha voglia di capire, di confrontarsi. Se c'è questa passione, allora bene, altrimenti rischi di fare degli interventi che mettono in difficoltà il bambino in primis e gli adulti.
Il sostegno a scuola è fondamentale. I servizi di neuropsichiatria , le UONPIA hanno delle liste di attesa lunghissime. Oggi piu che mai, psicomotricità e logopedia sono una chiave di svolta per la storia di tanti bambini che hanno anche un moderato ritardo cognitivo, ma che se possono appena appena esercitare in modo piu curato e indirizzato le loro funzioni e le loro capacità, riescono a superare le difficoltà.
Provocatoriamente ti dico che ci sono molti ragazzi che fanno molta fatica ad andare alla scuola media, ai licei e tante intelligenze sprecate per la poca capacità di integrazione dei ragazzi. Quando si parla di bullismo si parla di ragazzi che hanno dei problemi comportamentali non da neuropsichiatria. Sono ragazzi che affiancati da un educatore che un liceo potesse mettere a disposizione, riuscirebbero a svoltare le loro vite. Cosa sto dicendo io con questo sostegno? Tu sei importante, tu hai un valore. Io vedo in te delle capacità. Per mille motivi oggi si sono congelate – non importa cosa sia successo – io vedo che tu potresti ed allora ti affianco , sono qui per te. I ragazzi piu grandi lo vedrebbero con un po' di vergogna ma io porto avanti delle teste dove semplicemente c'è stato un blocco evolutivo. Io sono psicologa non ho voglia di chiudermi dentro a etichette di vario genere e tipo. Anche ragazzi che si fanno male fisicamente: anoressia, tentati suicidi, sono tutti ragazzi che hanno avuto da qualche parte nella loro vita precedente qualche blocco rispetto alla capacità evolutiva. Se noi riuscissimo a cogliere nel presente il disagio e costruire un ponte verso il futuro, tanti ne tireremmo fuori.

Perchè tanto bisogno di sostegno nei nostri giorni

D: Da come ascolto queste tue parole mi si sta definendo un quadro - in realtà io non conosco il meccanismo storico , non conosco l'evoluzione dell'istituzione scolastica negli anni , degli aspetti sociali - in cui la necessità di sostegno si è moltiplicata e diversificata. A questo punto mi viene un dubbio: se il fenomeno è così sfaccettato, multiforme, non è che ci siamo persi qualcosa nell'approccio educativo? O forse non abbiamo colto il cambiamento? 

R: Certo, basta guardare a come si è modificata la concezione dei tempi. Io ho un problema e voglio risolverlo in tempi brevi. Quanto poco siamo oggi ancora capaci di soffrire e di credere in un percors,o che comporta del tempo, ma mi permette di risolvere il problema! Noi siamo - ed i nostri figli ancora di piu - la generazione del “schiaccio un bottone ed ho il caffè pronto”. Credere di portare avanti un percorso ed investirci impegno è uscito dalle nostre abitudini. Rimettere al centro la questione dei tempi: se noi crediamo ad una cosa, dobbiamo investirci del tempo. Fai un esempio: i ragazzi giocano a tennis con un videogioco, e subito pensano di essere dei campioni di tennis. Allora tu cosa fai l'estate dopo? Devi assolutamente mettergli in mano una racchetta vera, perchè se utilizzano il videogioco, senza racchetta in mano, sono tutti campioni. Se un bambino di 6-7 anni non ha il riscontro diretto con la realtà, continuerà a pensare di essere un campione di tennis. Buttare la palla oltre la rete con una racchetta significa anche sudore, fatica, certo anche divertimento. Ma soprattutto significa scendere a patti con la realtà.

Non riesco a scendere dall'aereo!

R: L'altra cosa: non si puo' tagliare incondizionatamente su tutti i fronti. Il sistema deve ragionare e garantire i livelli di base.Se stiamo dicendo che ad esempio Milano è una città in cui siamo tutti molto da soli, l'educatore nella classe è una figura fondamentale perchè fa da ponte con una famiglia “fuori” . In particolare se poi è una famiglia straniera, accolta da noi italiani in modo un po' ostruttivo. Questi bambini che vengono in Italia, non parlano la nostra lingua, fanno una fatica incredibile a scuola. Alcuni dicono che amano solo la scuola ad esempio cinese, dove vanno al sabato ed alla domenica, e quindi si rifiutano di parlare in italiano e restano muti anche in 2 o 3 elementare, a meno che una maestra illuminata non trovi un canale per comunicare con loro. Altri bambini invece fanno l'opposto. Vogliono parlare solo l'italiano e si perdono la loro lingua di origine e la loro tradizione. E quindi i genitori faranno fatica a riconciliarli con la famiglia di origine. Rimangono famiglie spezzate, “mezza di qua e mezza di la”, come fa una mamma ? E' come – metaforicamente- se rimanesse costantemente sull'aereo, non atterra. Perchè vuole stare un po di qua e un po' di la, con i suoi figli e con suo marito e quindi “non atterra”. 

Il sostegno nelle scuole d'infanzia ed in primaria come viene gestito?

R: Esite un percorso che riconosce il diritto di sostegno (un dato monte ore a settimana) al bambino ed alla maestra. Il sostegno al bambino non è mai un sostegno solo al bambino ma alla classe, poi ha impatti benefici anche sulla famiglia. Questo dovrebbe essere conteggiato nei conti economici. Se il bambino sta meglio, l'impatto è positivo per tutta la classe e su tutta la famiglia.
Ora esiste una legge sui bisogni educativi speciali (BES) per casi di dislessia , disgrafia. Hanno avuto un riconoscimento istituzionale. E' vero che aumenta la superficie e la sfaccettatura dei bisogni. Ma noi stiamo andando verso il progresso, non verso il medioevo. Nella riflessione su cosa tagliare lascerei indenne le minime presenze di sportelli di aiuto. Ad esempio per accesso all'UONPIA, per le iscrizioni online. Proverei a pensare a qualcosa che abbia a che fare con la relazione, qualcuno che c'è, al quale rivolgersi. 

E se il sostegno diventa una barriera all'integrazione ?

D: Il mio timore qual'è : siamo in una situazione con 1 maestra, 25 bambini, qualche bisogno speciale, qualche sostegno: l'insegnante forse è la prima che si disinteressa alla comunicazione/relazione con questi bambini dai bisogni speciali. Tanto c'è il sostegno per te. Quindi la maestra diventa la prima a non comunicare, anche inconsapevolmente.

R: Il fragile equilibrio che deve essere costruito si basa sul fatto che il tuo “sostenitore” sia formato, sia una presenza “discreta”. Le figure di sostegno vanno formate, altrimenti creano disturbo. Un bambino che ha un ritardo cognitivo lieve, ne è consapevole. La famiglia deve aiutare a far comprendere che il sostegno non è un'onta ma una cosa buona, una occasione per lui e deve imparare ad utilizzarlo bene. La famiglia non deve sentirsi denigrata. Anche in questo va aiutata la famiglia. L'educatore di sostegno deve essere formato a gestire questa forma di relazioni.

D: In questo senso tu non vedi male la presenza delle cooperative?

R: Oggi siamo in epoca in cui o il terzo settore e le istituzione fanno rete, visto le carenze di fondi, questo è il meccanismo in cui credo. Il terzo settore che offre una professionalità alle istituzioni, secondo me è fondamentale diventare partner. Se io nasco per fornire un sostegno educativo, c'è l'ho come obiettivo e quindi mi impegno a fornire del personale formato. E' vero che la scuola ha degli insegnanti da utilizzare per il sostegno. Ma si dovrebbero limitare ai soli casi in cui la disponibilità dell'insegnante ad effettuare sostegno è reale, e non “imposta”. C'è il pericolo nell'ambito delle dinamiche organizzative che vi siano assegnazioni “non adeguate”.

La formazione come spazio di confronto e di crescita

D: Leggiamo le notizie dal settore educazione all'infanzia di Milano, in cui si spiega che si stanno attivando una serie di corsi di formazione per introdurre laboratori e altre attività all'interno dei servizi. Ma c'è in atto anche un percorso formativo di tipo di comunicazionale ed al sostegno?

R: Ci vorrà tempo, e molto. Gli insegnanti fanno anche fatica a trovare il tempo per seguire percorsi di formazione. La formazione è praticamente sempre un'opportunità, apre la mente, ti confronta con altre situazioni. Lo spazio formativo diventa anche spazio di pensiero e di relazione. Anche gli insegnanti hanno bisogno di fare rete e di sentirsi meno soli. Se qualcuno mi sostiene con un percorso condiviso, a tollerare quella fatica che mi costa, quell'impegno extra che mi vede coinvolto quando ho un bambino con bisogni educativi speciali in classe, mi sento meno sola, riesco ad affrontarlo piu serenamente.

Altro problema di oggi è la tendenza a giudicare. Ad esempio bambini di 5 anni tacciati di bullismo. A 5 anni dei maschi con un comportamento sopra le righe stanno dicendo solo che sono maschi. Non puoi tu insegnante attaccargli un etichetta di “bullo “ perchè ti trovi sguarnito e non sai che risposte emotive dare a queste situazioni. Ci vorrebbe tempo e condivisione. Insegnanti giovani affiancati da insegnanti con esperienza che aiutino i primi a riequilibrare emotivamente le situazioni. A volte sono situazioni legate all'inesperienza nella gestione della classe. Sono casi che posso generare problemi maggiori. Se tu metti un etichetta al bambino, per questi sarà molto difficile togliersela in futuro. Come farà a fidarsi degli adulti che incontrerà in futuro? Il problema si ripercuote sulle primarie ad esempio. Il bambino sarà portato a pensare che nessun insegnante sia in grado di comprenderlo veramente, che il giudizio espresso una volta sola, sarà sempre presente. I bambini faranno fatica a riaffidarsi a qualunque adulto, non essendo stati capiti da piccoli. Ci sono quelli che si bloccano e non cercano più altre strade. In caso di difficoltà, impariamo a dosare i termini, a non appiccicare etichette dalle quali si fa fatica a tornare indietro!
La prepotenza puo' essere un forma di espressione, la scoperta della leadership. Sono tutte situazioni che il bambino puo' sperimentare. Prova l'esercizio del potere: dipende la sponda che trova dall'altra parte. L'etichetta congela; la situazione invece va esaminata e relazionata all'interno di un percorso evolutivo, che potrà modificare il bambino, in meglio vorremmo.

Rimettere ordine nelle priorità pedagogiche

D: Cosa si aspettano le famiglie dai servizi: che siano accolti da personale sufficientemente competente, di cui ci si possa fidare, che mangino cibi magari non sempre eccezionali, ma sufficientemente sani, che gli venga impartita qualche regola di buona educazione. Forse questo è un po' riduttivo. Se fosse veramente così, tu stai delegando completamente a qualc'un altro la cura ed il percorso di crescita di tuo figlio. 

R: Gli spazi di riunione di sezione con le famiglie oggi sono due all'anno, e difficilmente di piu'. Motivo economico, distribuzione delle ore. A volte si fa fatica a tenere insieme un quadro se non ci sono gli spazi temporali necessari. Ci sono classi dove si riuniscono bambini più taciturni o più rumorosi. Come fa l'insegnante a confrontarsi con i genitori se non ci sono occasioni di riunione. Questo dice molto sul modo in cui affidiamo i bambini alle educatrici. Non crearmi problemi. E' il sistema che risponde così, vi sono molti insegnanti che vorrebbero avere più spazi d'incontro. Anche gli spazi per i colloqui sono pochi. Se i bambini si mostrano adeguati, nessun problema. Per casi più complessi, anche avendo una educatrice disponibile, sono spesso le famiglie che sono irraggiungibili. Si rimane al margine del sistema, dipende dalla tua specifica interfaccia. Molti tagli hanno reso inevitabilmente gli addetti meno disponibili. Situazioni in cui le uniche vittime sono i bambini. 

D: Mi riferiscono di gite di 12 h fatte con bimbi di 5 anni, senza genitori.Le famiglie spesso sono entusiaste. Ma mi chiedo se queste “cose eccezionali” non coprano lacune nelle “basi”. Questi bambini sono pronti? Il loro percorso è adeguato? Hanno acquisito l'autonomia adeguata per la loro età? Sanno valutare cosa è bello, cosa gli piace? Se hai le basi, poi pensi all'extra. Magari le famiglie sono entusiaste, poi ti trovi il bambino che non sa stare a tavola, non sa piegare il tovagliolo, o mettersi le scarpe. Come fanno i genitori, se non per loro volontà e con proprio impegno a diventare consapevoli delle scelte pedagogiche che stanno facendo? 

R: L'altro problema è che i genitori oggi, anche in funzione di queste vite un po' schizzofreniche che fanno, dal lavoro ai bambini, i tempi imposti, fanno fatica. In passato erano i nonni che avevano tempo e calma e disponibilità. Anche i genitori avrebbero bisogno di un aiuto a dare il senso alle cose. Ci sono quelli che si confrontano, che pensano. Anche qui di nuovo esce la necessità di spazi - tempi – luoghi di relazione. I genitori hanno bisogno di consiglio. Si tende oggi, cosa che mi preoccupa, a fare cose più per accontentare i genitori che per crescere i bambini.

Insomma, un sostegno – un atto di accoglienza - che ti accompagna nei momenti difficili, estremi o meno.

Serena Kaneklin è psicologa, Capo Progetto CAF del servizio “diventare genitori” , esperta in metodologia di ricerca qualitative e quantitative in ambito privato e sociale; si sviluppo, ricerca e intervento in ambito sociale e formativo.

giovedì 5 dicembre 2013

ancora fondi....

L'articolo de La Repubblica "Scuola, il Pirellone salva i fondi alle private" ci racconta quanto siano diffusi e forti i legami delle scuole private con le istituzioni.

Ci piacerebbe che la libertà (oltre che il diritto) alla scuola fossero garantite in ogni modo. Quel che stona, è che in una fase di grandi ristrettezze i tagli avvengano solo sulla scuola (ed i servizi all'infanzia) di natura pubblica e che il ventaglio delle paritarie si ostini a declamarsi paritario (ovvero parificato). Sembra un'affermazione generica, ma qui sotto viene declinata in due considerazioni concrete e banali, che non entrano nel merito neanche dei programmi educativi:
  1. le graduatorie ed i criteri di accesso ai servizi all'infanzia paritari non comunali sono autonome nei criteri e nei tempi, rendendo complessa ed improbabile l'opportunità di accesso ai richiedenti (devo fare più iscrizioni, diverse nei criteri e con tempi di risposta diversi)
  2. i casi complessi, che richiedono risorse, quali bambini con necessità di sostegno, sono storicamente raccolti nei servizi pubblici, gravando in modo non proporzionale sulle già poche risorse disponibili. Si fa presto a dire che gli alunni diversamente abili sono aumentati nelle paritarie ma, a legger bene, si scopre che si concentrano nelle scuole secondarie e comunque la percentuale di incidenza nelle paritarie è mediamente ben inferiore (quasi la metà) a quella delle pubbliche.
Difficile vedere queste decisioni diversamente da una sgradevole e prepotente forma di sostegno clientelare a favore del proprio bacino elettorale. Soprattutto se prese senza una riflessione nel merito.

Se è vero che qualcuno nel Comune di Milano è stato colto dal dubbio che non fosse corretto garantire sempre e comunque tutti i fianaziamenti promessi, siano almeno questi stessi ad avere la dignità, per i servizi all'infanzia, di portare avanti un discorso di coerenza. Se il finanziamento ci dev'essere, fino a quando una legge non lo abolirà, che almeno si pretenda il rispetto di alcuni minimi criteri di parificazione, almeno il più semplice, procedure di iscrizioni identiche e correlate con quelle comunali.