martedì 11 febbraio 2014

ManifestoLab_2.0_4: Gli spazi gioco di Aldo Van Eyck (AVE)

L'istinto dell'urbanista è quello di lavorare con le resistenze di confine. E' sui margini vivi che si sviluppano le abilità. Anche nella progettazione urbana si puo' introdurre volutamente l'ambiguità, escogitando luoghi in cui la gente si senta spaesata o smarrita. Amsterdam offre un esempio di ambiguità pedagogica.

Negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale l'architetto AVE ed i suoi collaboratori (quasi tutte donne nell'ufficio parchi del municipalità) cominciarono a riempire gli spazi vuoti della città con ampi giochi: nei cortili ingombri di macerie e ferraglie, nelle banchine spartitraffico, negli slarghi di risulta e ai bordi delle strade.

Va detto che oltre a cogliere il momento specifico della ricostruzione questa decisione costituiva un cambiamento strutturale nelle abitudini cittadine, dove i parchi gioco erano sostanzialmente organizzati solamente in giardini privati, ad appannaggio dei soli ceti “nobili”. AVE, a 28 anni, ed i suoi collaboratori sgombrarono i detriti e livellarono il terreno; in certi casi colorarono i muri degli edifici adiacenti o vi dipinsero murales.

Il primo esperimento fu Bertelmanplein (1947)





Dal 1947 al 1955 progetto' 60 siti ed al termine della sua attività progettuale autonoma erano piu' di 700, alcuni sopravvissuti nel loro disegno originale.

Whatever time and space mean, place and occasion mean more.

A differenza dei parchi nelle strutture scolastiche , questi parchi gioco “tascabili” disseminati nella città erano invitanti anche per gli adulti: avevano comode panchine, vicino a caffè.

L'ambiente che non è adatto per il bambino non è adatto neanche per l'adulto.

AVE con i suoi progetti riuscì a trasformare lo “spazio” in “luogo” creando una situazione di transizione lavorando sui concetti contrapposti di luci ed ombre , vicinanza e lontananza, interazione e vuoto anziché sui materiali.

L'intento del progettista era di insegnare ai bambini a prefigurarsi ed a gestire le transizioni ambigue nello spazio urbano. L'intuizione importante fu proprio quella che tali ambiguità spaziali avrebbero indotto i bambini a rapportarsi gli uni con gli altri: i più piccoli ad esempio, appoggiandosi ai più grandi per alzarsi.

Buskenblaserstraat: ricavato tra due grandi arterie trafficate (per quanto allora possibile), la vasca della sabbia ben delimitata all'interno, lontana dalla strada, le attrezzature di arrampicata sono invece meno protette. Gli atti di collaborazione (guardare se arrivano macchine, lanciare urla per avvertimento diventavano azioni indispensabili per la sicurezza). Oltre ad avvisarsi reciprocamente dei pericoli i bambini definivano autonomamente e necessariamente le regole per gestire lo spazio in sicurezza, ad esempio a pallone. AVE quindi progettava luoghi/situazioni che stimolassero i giovani utenti a sviluppare l'abilità di prefigurarsi il pericolo e di gestirlo: non ha cercato di proteggerli con l'isolamento.
 


Van Boetzelaerstraat 1961:ricavato da uno spazio d'angolo in un quartiere di Amsterdam densamente popolato. Il progetto incorpora le case ed i negozi al di là della strada. Il traffico era intenso, la sera lo spazio era frequentato da giovani ed anziani. Questa differenza dei fruitori e dei modi d'uso (il gioco, il ciondolare, il riposarsi sulle panchine a parlare...) si organizzò autonomamente per una fruizione comune e pacifica. 

(qui le foto prima e dopo)



Il tutto non era stato lasciato al caso: alcuni accorgimenti tecnico progettuali avevano favorito il successo dell'operazione. Le panchine disposte in modo che i genitori potessero sorvegliare i bambini nel loro gioco: la gente mentre andava a fare la spesa , faceva sosta sulle panchine dando un'occhiata ai bambini senza interferire nel loro gioco. Altri invece tagliavano il campo da gioco per passare da un negozio all'altro, obbligando gli occupanti a condividere una violazione continua degli spazi. Non c'era una interazione verbale ma fisica tra le persone. Ancorchè apparentemente neutrale diventò invece un luogo di di convergenza di tutte le fasce d'età. 

Gli interventi sono più di uno spazio giochi, sono possibilità di incontri, di movimento , di creazione di pensieri ed idee.

Zeedijk è un’area gioco ancora esistente. 

  

Zaanhof appassiona per la sua semplicità


Un ultima riflessione interessante di AVE sul tema delle aree di gioco. Egli stesso studio e si occupo’ direttamente della design dei singoli elementi di gioco, concependoli come strumenti semplici che aprissero l’immaginazione di bambini. Il principio che adotto’ nel concepirli fu il seguente: “Not the plaything , but the child himself should move” (non l'oggetto ma il bambino deve muoversi). Da qui semplici volumi in pietra ed elementi tubolari in metallo che con la fantasia dei bambini venivano trasformati in mille avventure e sempre ricorrenti nelle aree gioco di AVE. 





Oggi, nei nostri parchi tutto questo è spesso molto diverso.




 




Elaborato sulle fonti: R. Senneth , L'uomo artigiano (2008) e playgrounddesigns.blogspot.com

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